29 Set 2005
Le Città Viste Dal Basso è il titolo (sicuramente ispirato a Vedute Dallo Spazio dei Massimo Volume) dello spettacolo in scena al Teatro Storchi di Modena, venerdì 7 ottobre alle 21.00 con ingresso gratuito.
Ecco il comunicato stampa, che appare anche su LaScena:
Come sono state raccontate le città italiane dalla canzone italiana negli ultimi 30 anni?
Le Città Viste Dal Basso ve ne darà in parte risposta.
Ovviamente non si potranno prendere in considerazione tutti i brani che hanno avuto come tema conduttore una città, ma buona parte.
All'interno della manifestazione chiamata 'Due Giorni Per Raccontare La Città' (promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e da HoldenArt) i Perturbazione mettono in scena uno spettacolo accompagnati da alcuni ospiti d¹eccezione:
Manuel Agnelli (Afterhours), Francesco Bianconi (Baustelle), Offlaga Disco Pax, EMIDIO CLEMENTI (Massimo Volume, El Muniria).
Tutti gli artisti in questione non si sono mai ritrovati assieme sullo stesso palco. Il concerto sarà perciò un unico, lungo racconto, in cui si alterneranno canzoni e reading musicali, alcuni dei quali attraverso un lettore virtuale esclusivo: Alessio Bertallot.
Brani di ieri e di oggi. Rivisitazioni sonore di luoghi che le canzoni hanno immortalato e nuove cartoline sonore. Tranci di storie unite, come detto, da un denominatore comune: le città, cuore pulsante di tutto l'avvenimento.
A rendere il tutto ancora più affascinante, il luogo ove si svolgerà lo spettacolo: il Teatro Storchi di Modena.
Per informazioni 059-2136011
Emidio Clementi intervistato da ViviMilano
Questa è un'intervista pubblicata nel 2003 su Vivimilano.it (portale del Corriere della Sera) e convertita in HTML dal file DOC originale gentilmente speditomi da Francesco Casuscelli.
INTERVISTA AD EMIDIO CLEMENTI - vivimilano
Emidio Clementi e Blixa Bargeld. Due voci. Due bellissime voci modulate su frequenze particolari, difficili da definire. Voci color petrolio, capaci di reggere la scena senza bisogno di nessuna scenografia, di nessun accompagnamento musicale, di nessun fronzolo estetico. Due voci fatte di indiscutibile “sostanza” e di elegante “forma”. L’ex leader dei Massimo Volume e l’attuale mentore dei tedeschi Einstürzende Neubauten, sabato 4 ottobre si troveranno sullo stesso palco, quello del Teatro dell’Arte, in occasione di “Eurotribu”, vero e proprio festival delle nuove espressioni culturali, pronto a tagliare il traguardo della seconda edizione.
Sia Blixa Bargeld, sia Emidio Clementi, saranno impegnati in un reading, cioè una performance live fatta di parole recitate, “sostenute” (talvolta) da un discreto accompagnamento sonoro. Il musicista tedesco porterà all’attenzione del pubblico milanese il suo spettacolo dal titolo “Rede/Speech”, mentre Clementi metterà in scena “La notte del Pratello”, radiodramma diviso in più episodi, impreziosito da suoni jazz, elettronici, per nulla convenzionali. In vista dell’esibizione milanese, Emidio “Mimì” Clementi ha accettato di parlare del suo presente, del suo futuro prossimo e soprattutto del suo passato, legato a doppio filo all’esperienza (musicale ed umana) coi Massimo Volume.
E’ la domanda di molti: perché nel gennaio del 2002 i Massimo Volume si sono sciolti?
«Quel progetto è terminato perché aveva dato e detto tutto. L’energia si era esaurita».
La tua frase sembra l’epitaffio di una storia d’amore…
«Per certi versi i Massimo Volume hanno rappresentato una storia d’amore. E come spesso accade, anche le storie d’amore possono finire».
In genere, per molti artisti, l’etichetta Mescal rappresenta un ambito punto d’arrivo, piuttosto che una base di partenza. Cosa ti ha spinto a staccarti dalla struttura di Nizza Monferrato?
«Una volta scioltosi il gruppo, mi è sembrato più giusto non sfruttare i “contatti” nati durante la vita dei Massimo Volume. Insomma, ho preferito cercare una strada personale, sia per rispetto verso me stesso, sia per rispetto verso i miei ex compagni di viaggio. Ora lavoro con la Homesleep, e mi trovo bene».
Qualcuno, nei mesi scorsi, ha insinuato che fra te e la Mescal il rapporto col passare del tempo si fosse deteriorato a tal punto da rendere impossibile ogni collaborazione.
«Non c’è nulla di vero in questa affermazione, e mi stupisco che possano circolare voci di così basso livello. Fra me e la Mescal non c’è mai stata nessuna rottura netta o traumatica. Io stimo moltissimo l’etichetta di Valerio Soave».
Fra pochi mesi tornerai nei negozi con un nuovo album, una nuova band e molto probabilmente anche con un nuovo romanzo dopo gli apprezzamenti raccolti col precedente “La Notte del Pratello”. Puoi svelarci cosa stai producendo nella tua casa di Bologna?
«Il disco degli El Muniria (questo il nome del nuovo ensemble guidato da Clementi, N.d.R.) uscirà a gennaio. L’album conterrà dieci canzoni al massimo ed avrà una durata complessiva di quaranta minuti circa. Non sarà dunque un lp lunghissimo, ci saranno delle incursioni elettroniche, e non sarà distante da quello che per dodici anni ho fatto coi Massimo Volume».
Canterai o reciterai i testi da te scritti?
«In gran parte saranno testi recitati».
Ci saranno degli ospiti?
«Sì. Manuel Agnelli degli Afterhours sarà uno di essi».
Dopo la pubblicazione del disco ci sarà una tournée?
«E’ probabile. Ho una gran voglia di tornare a suonare dal vivo».
Stai scrivendo anche un nuovo libro, esatto?
«Sì, proprio in questi giorni lo sto ultimando: è un romanzo autobiografico. Al momento non ho ben chiara la data di pubblicazione: ci sto ancora lavorando».
Fra le tante etichette che ti porti addosso, c’è anche quella di “intellettuale”: ti pesa questa definizione oppure non ci fai caso?
«Non sono un intellettuale e non mi reputo neppure tale. Ho una cultura media. Non sono neanche laureato».
Domanda diretta: chi è Emidio Clementi?
«Domanda difficile: in questo momento non saprei dare una definizione di me stesso».
Da dove trai l’ispirazione per i tuoi testi così taglienti, crudi, visionari?
«Dalla realtà, dai libri, dal cinema, dalla musica, da molte cose. Mi piace osservare con attenzione ciò che ho attorno».
Qual è il tuo rapporto con le parole?
«Scrivere – ha puntualizzato l’artista - è la cosa che so fare meglio. Mi piace, mi stimola, mi attrae. Ho un bisogno quotidiano di tradurre in parole, pensieri, immagini, idee».
Dopo l’uscita del nuovo disco, per te sarà tempo di tour. Hai consapevolezza del fatto che tanti fans, quando sarai sul palco, ti chiederanno di cantare canzoni estratte dal repertorio dei Massimo Volume?
«Lo so, però dal vivo non credo che ci sarà spazio per il passato. Non eseguirò brani dei Massimo Volume. Non li eseguirò per parecchio tempo».
Francesco CASUSCELLI
INFO
SABATO 4 OTTOBRE 2003
BLIXA BARGELD + EMIDIO CLEMENTI
Inizio spettacoli: ore 20,30
Ingresso: 15 euro
Luogo: CRT-Teatro dell’Arte - via Alemagna, 6 - Milano
Telefono: 02.88.12.98
SUL WEB
http://www.mescal.it (sito dell’etichetta che ha prodotto i lavori dei Massimo Volume)
http://www.homesleep.it (sito dell’etichetta con la quale lavora al momento Emidio Clementi)
Emidio Clementi intervistato da Kurtz
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Questa è un'intervista pubblicata nel 2004 da Kurtz, periodico letterario vercellese, e convertita in HTML dal file RTF originale gentilmente speditomi da Gianluca.
EMIDIO CLEMENTI
Un’intervista di Gianluca Mercadante
Da qualche tempo in qua proliferano libri scritti da autori non convenzionali, come star della televisione, attori e, non ultimi, musicisti e cantanti. Per alcuni appare una scelta casuale, o di comodo. Nel tuo caso, si distingue invece un percorso, iniziato coi Massimo Volume, ma forse anche prima. Intanto, com’è cominciata la tua esperienza musicale?
Casualmente. O meglio, nella stessa maniera con cui ci si può avvicinare un adolescente. C’è qualcosa che preme dentro di te e sei convinto che la musica sia la maniera migliore per farla uscire fuori. Credo che a sedici anni, cominciare a suonare, rappresenti molto più che una questione di stile.
Le canzoni dei Massimo Volume rompono decisamente la tradizione. I testi sono recitati e ognuno sembra un racconto bonsai…
La verità è che nessuno di noi sapeva cantare. Gli altri misero me di fronte al microfono solo perché ero l’unico che scrivesse con una certa continuità, cose molto brevi che non erano testi e non erano neanche racconti. In più suonavo uno strumento, il basso, che non mi teneva troppo impegnato. Lo ripeto, fu tutto piuttosto casuale, ma lo capimmo subito che quello sarebbe potuto diventare il nostro stile, un marchio di fabbrica abbastanza originale. È il lavoro di sintesi la parte più affascinante nello sviluppo di una canzone. Quando funziona è come se i due elementi originari, la musica e il testo, producessero qualcosa di diverso e di più profondo. È il bello di lavorare in gruppo. La capacità di stupirsi diventa più alta. Sono però equilibri molto delicati quelli che lo tengono insieme, sempre sul punto di rompersi. Delicatissimi.
E qui, parallelamente all’attività musicale, sei uscito per un piccolo editore, Gamberetti, con un libro di racconti: “Gare di Resistenza”. È casuale, rispetto ai Massimo Volume, che tu ti sia accostato alla letteratura proprio con una raccolta - e non con un romanzo?
Non è casuale. Stavo cercando un respiro più ampio alle cose che scrivevo. Ma non ero ancora pronto per un romanzo. Fare in modo che una storia regga per duecento pagine invece che per quattro, è un problema che ho risolto solo quando ho cominciato ad avere una certa dimestichezza con la scrittura. Il passo che in quel momento potevo permettermi non era così lungo.
Pare però che l’editoria accetti con maggior entusiasmo i romanzi, piuttosto che le raccolte di racconti.
È vero. Sembra che oggi per scrivere un libro di racconti occorra essere un autore affermato. Altrimenti ti chiedono sempre se è possibile ridurre il tutto a una storia unica. A un romanzo, appunto. Mi dicono che le cose adesso stanno cambiando. Lo spero. La mia generazione si è nutrita di racconti. Non vede l’ora di ricominciare a scriverli.
Infatti il tuo primo romanzo, “Il Tempo di Prima”, più che una storia ad ampio respiro, sembra un contenitore di altre storie brevi.
Era l’unica maniera in cui, all’epoca, potevo risolvere il problema di cui ti parlavo un attimo fa: scrivere un romanzo come se fosse una serie di storie più brevi, tenute insieme da una cornice unica. Più in là non sarei riuscito ad andare. Rileggendo Il tempo di prima, ad anni di distanza, trovo ancora convincente la cornice (il lago, l’hotel: un bell’ambiente), meno i personaggi. Troppo logorroici, troppo concentrati su stessi nel trovare un senso alla vita.
E invece mettere su pagina l’intera tua vita fino a oggi, com’è accaduto di recente, che cosa significa per te? Come scrittore e come uomo.
Avviene un distacco. Quello che mi interessa è capire se la storia può essere affascinante. A quel punto diventa una storia e basta. Non penso sia così traumatizzante come si tende a credere. Tra i personaggi e le persone c’è sempre un abisso.
Eppure, “L’Ultimo Dio” resta un romanzo dove ti metti a nudo come mai hai fatto prima, se non forse nelle canzoni…
Penso che L’ultimo dio sia un romanzo più maturo rispetto agli altri scritti in precedenza, ma io credo in una lenta evoluzione. Lo stile di una scrittura ha bisogno di tempo per migliorarsi. Ogni tanto si butta giù una pagina che somiglia alla maniera in cui si vorrebbe scrivere. Ma rendere ogni pagina perfetta è un lavoro lungo, complicato, pieno di incertezze. Ci vogliono degli anni per affinarsi. Sono consapevole cheL’ultimo dio chiuda un ciclo, ma altrettanto convinto che le storie che mi aspettano dovranno comunque passare tutte attraverso il mio vissuto. Ne ho bisogno per poter dare alla storia la giusta dose di concretezza senza la quale la finzione risulterebbe solo falsità.
Quali letture hai amato particolarmente?
Ci sono tantissimi scrittori che ammiro. Philip Roth, Dino Buzzati, Antonio Franchini, Maupassant, Swift, Checov, la Mansfield, la Yourcenar. Si può andare avanti e indietro nel tempo. Si trova sempre una marea di grandi scrittori. In ogni epoca. Ora sto leggendo una biografia di Katherine Mansfield. Scritta da Citati più di vent’anni fa.
Sei andato a vivere per un po’ in Svezia, hai fatto tantissimi lavori là e tantissimi ne hai fatti ancora qui in Italia, quando sei tornato. Ora sei uno scrittore e un musicista libero che ha lottato da sempre per mantenersi tale. La tua lotta è finita o è proprio adesso che si fa ancora più dura?
Sì fa più dura. Le pacche sulle spalle non ti bastano più. A trentasette anni la gratificazione in quello che fai passa inevitabilmente anche attraverso la conquista di una stabilità economica. Essere tranquilli con i soldi ti convince che le scelte che hai fatto erano giuste, responsabili. Non sempre succede. Forse in questo i miei personaggi rispecchiano una parte di me stesso.
Ma i tuoi personaggi scappano, molto spesso. Poi ritornano, anche se non del tutto: eleggono posti nuovi a proprio ideale habitat. Familiari, ma lontani…
Mi piace cambiare senza mai dimenticare l’enorme potere protettivo delle abitudini. Lasciami tre giorni in un qualsiasi luogo in culo al mondo e vedrai che invece di girare per la città mi ritroverai seduto nel solito posto che già odora un po’ di casa. Ho un bisogno terribile di sentirmi a casa.
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